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Venti di marzo

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Tra algoritmi e mantra,

sulla piazza vuota 

di un mondo impreparato,

si muove trasparente

solo la speranza,

l'unica presenza

che assieme alla paura

possa toccare 

una famiglia,

un'altra

e poi un'altra ancora,

strette, blindate tra mattoni e vetri.

Smart work and videocall,

farina, mouse, biro

il pane dentro il forno.

Piedi fermi, la marcia dei decreti.

Il comico in TV gesticola,

prova a finire il numero,

spoglie di risa e applausi

le sedie rosse tacciono.

Disinfettiamo tutto,

disinfettiamo il tempo,

disinfettiamo  la pelle

delle nostre case.

E le nostre porte.

E le nostre bocche

che restano coperte

diventano custodie di parole,

domani forse lievito

per discorsi nuovi.

È la guerra del silenzio,

del non sapere quando,

del non sapere come,

sulla piazza vuota

di un mondo impreparato.

I balconi ponti per l'arcobaleno, aerei,

tappeti volanti nell'aria che di muove,

sì, si muove ancora

e sa di boccioli e miele

di steli appena nati e alcol,

d'asfalto che cerca invano

il suono dei suoi passi.

Alle ringhiere fioriscono le mani,

mani che finalmente libere

dall'odore di gomma e nuovi rituali

plaudono al canto, al vedere volti,

appuntamento all'ora del tramonto.

Si supera la soglia,

si va di nuovo dentro

ad inventar la sera 

di quest'altro oggi.

Si supera la soglia

di vittime di ieri.

Cadono i soldati

nelle divise bianche.

Non ci sono bombe

in questa nuova guerra,

solo le sirene 

solo le sirene.

Mentre le case

con le pance gonfie

aspettando cullano

respiri su respiri.

Senza sapere quando.

Senza sapere come.

Sulla piazza vuota

di un mondo impreparato.

 

 

 

 

 

 

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